Buon Anno
BUON ANNO!
Carissimi fratelli e sorelle, un cordiale e fraterno augurio di Buon Anno a tutti voi.
Qualche giorno fa (il 21 dicembre alle 11.02, ora italiana) per il nostro emisfero c’è stato il solstizio d’inverno, il giorno con meno ore di luce dell’anno e di conseguenza anche il momento in cui la luce solare comincia a riprendere il sopravvento sulle tenebre della notte. A questo avvenimento fin dall’antichità tante religioni e culture hanno associato significati diversi, compreso il cristianesimo che ha sostituito le festività romane del “Sol invictus” con quelle del Natale di Gesù, confessando Lui come la vera luce che illumina tutti gli uomini. Durante il periodo delle festività natalizie celebriamo inoltre il primo gennaio l’inizio del nuovo anno, circostanza ereditata dai romani che facevano coincidere il capodanno con il primo giorno del mese dedicato al dio Giano, il Dio bifronte dei nuovi inizi, con lo sguardo rivolto verso il passato e, nello stesso tempo, proteso verso il futuro.
Tenere presente che tante nostre celebrazioni risalgono ad antiche tradizioni o ricoprono di significato religioso certi appuntamenti convenzionali credo ci aiuti ancor di più a valorizzare la loro “funzione simbolica” di metterci in contatto con qualcosa di “altro” da quello che tutti i giorni viviamo o sperimentiamo, qualcosa di più vitale, di più profondo e di più significativo. Saldamente radicati nel reale, saggiamente ancorati al sostenibile e costantemente in cerca di nuove competenze che rendano sempre più decifrabile la nostra esistenza, viviamo tuttavia anche di simboli, di “squarci” che ci lasciano intuire, in certo modo “vedere” e “sperimentare” il senso più profondo e il valore più alto delle cose, in quella modalità che definiamo “interiore”, non in senso intimistico, ma come percorso verso l’“ulteriore”.
E’ così che dobbiamo accogliere le immagini e le parole che hanno attirato la nostra attenzione in questi giorni di Natale, dalle più semplici alle più elaborate, non come estenuante ripetizione di un racconto i cui dettagli ormai conosciamo a memoria, anche negli aspetti più problematici da interpretare o far quadrare con la realtà storica, ma come “squarci” che hanno la forza di tenerci costantemente in contatto con la luce che splende nelle tenebre, con la vita che non ingrigisce nelle angustie quotidiane, con l’orientamento del farsi dono che rimotiva l’esistenza, con la semplicità e la tenerezza che scardinano le smanie di grandezza e il vivere come se gli altri non esistessero o non contassero, con il desiderio che è la strada maestra verso l’”oltre”.
Anche Gesù, come ci racconta Marco, ha vissuto l’esperienza di questi squarci: “Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Gesù si immerse nel fiume Giordano. E’ questo il primo squarcio che ci fa comprendere ancora più profondamente le “manifestazioni” (epifanie) contemplate nel Natale, quando lo abbiamo visto nascere in mezzo ai poveri (i pastori in Luca), luce per illuminare tutti gli uomini (i magi in Matteo), per vivere in modo pienamente umano (Verbo fatto carne in Giovanni), e oggi quasi confuso in mezzo ad una folla desiderosa di riscatto, condividendone, ossia prendendo su di se (l’Agnello di Dio in Giovanni) il peso delle loro fatiche e dei loro fallimenti. Un’immersione raccontata da Marco con le stesse modalità della passione, laddove l’obbedienza piena di Gesù al Padre si tradurrà nel dono totale di sé sulla croce che squarcerà per sempre ogni tentativo di imprigionare la misericordia di Dio (il velo del Tempio) e una voce umana (il centurione) potrà unirsi a quella divina per proclamare Gesù come il Figlio di Dio, l’amato che muore per amore.
All’uscire dall’acqua Gesù vede squarciarsi i cieli. Nel tempo di Avvento avevamo letto nel libro di Isaia la toccante invocazione rivolta a Dio, Padre e Liberatore, al termine della schiavitù babilonese: “Dov’è colui che aveva fatto scendere il suo spirito su Mosè?”, “perché non squarci i cieli e scendi?” (Is 63,11.19)… Che tristezza i cieli chiusi, Dio che non comunica più, l’uomo abbandonato a se stesso… Ma Gesù vede i cieli riaprirsi e sente la voce di Dio tornare a parlare in modo familiare, che lo proclama figlio amato, e sente soprattutto entrare dentro di sé, come una colomba che si accomoda nel suo nido, tutta la forza dell’amore di Dio, il suo Spirito che fa della vita tutta un’altra cosa, che genera passioni incontenibili, che ispira motivazioni che non vengono mai meno, né davanti alle grandi prove né nei momenti aridi della vita. E da questo squarcio apertosi al fiume Giordano, da questa profonda esperienza di piena comunione con il Padre, Gesù, come il “servo unto dallo Spirito del quale Dio si compiace” predetto da Isaia (42,1), inizia la sua missione, di rendere presente nel mondo il Regno di Dio e di “immergere” gli uomini nel suo dinamismo, caratterizzarli con un altro stile di vita, quello proprio delle persone abitate dallo Spirito, come nessuno aveva fatto prima di lui, neanche lo stesso Giovanni.
Oggi, come allora, come leggiamo nel testo di Isaia proposto come prima lettura (Is 55,1-11), questi “squarci” li apre per noi la Parola di Dio a cui porgiamo l’orecchio per ascoltare e vivere, acqua nella quale siamo immersi e che siamo invitati a bere con desiderio, perché i sovrastanti pensieri e le sovrastanti vie di Dio divengano nostri. Parola che scende su di noi con la dolcezza della neve e la vigoria della pioggia, per fecondare, far germogliare e far portare frutto, nella consolante certezza che ciò per cui ci è stata donata arriverà a compimento.
Ce lo testimonia, così afferma Giovanni nel testo che leggiamo come seconda lettura (1 Gv 5,1-9), quello “squarcio” che rimane aperto per sempre nel fianco di Colui che ci ha amati fino alla fine, fino all’ultima goccia di “acqua e sangue”, dal quale sgorga perennemente il dono dello Spirito che rigenera e che ci fa figli capaci dello stesso amore, sui quali gli stili “mondani” improntati all’autolatria e all’appagamento effimero non fanno più presa.
E, se volete, anche questa pandemia, nonostante le innumerevoli sofferenze e difficoltà che ci sta causando, può rappresentare uno “squarcio” verso una vita “altra da prima”, come giustamente afferma M. Recalcati: “una delle lezioni più significative impartite dal magistero tremendo del Covid consiste nell’averci mostrato che la salvezza o è collettiva (o ci prendiamo cura gli uni degli altri, direi io)o è impossibile e che, di conseguenza, o la libertà viene vissuta come solidarietà (comunione fraterna, direi ancora io) o resta una dichiarazione solo retorica”.
Buon anno a tutti, fra’ Mario.
Buon Natale
Carissimi fratelli e sorelle,
penso che mai come quest’anno tutti sentiamo il bisogno di regalarci parole di Natale non banali e convenzionali, ma che avvicinino i nostri cuori, che illuminino le nostre incertezze, che confortino le nostre sofferenze, che aprano spiragli di gioia in mezzo a tanta tristezza.
Per questo, oltre ad attingere alla sorgente inesauribile dei nostri sentimenti più profondi, anche oggi ci mettiamo in ascolto del Vangelo, dei racconti del Natale, di pagine e parole a noi care alle quali chiediamo ancora una volta di indicarci percorsi illuminati e sostenibili nel mezzo delle crescenti difficoltà che questa pandemia ci sta creando, di fronte alle quali non riusciamo nemmeno a immaginare quanto e come saremo cambiati quando ne usciremo.
E’ sempre stato molto emozionante ascoltare nel cuore della notte di Natale le campane suonare a festa per far arrivare a tutti le parole proclamate all’interno delle chiese: “Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Quest’anno senza quello scampanio la notte di Natale è un po’ più vuota, e proprio questo silenzio, segnale evidente dell’emergenza in corso, richiama ciascuno di noi a riflettere più attentamente sul senso che diamo a questo annuncio. Salvezza, oggi come oggi, vuol dire semplicemente trovare vaccini e terapie efficaci contro un virus devastante ed essere guidati da un governo capace di trovare le misure adeguate per superare questo momento di crisi, o anche acquisire una mentalità e uno stile di vita che ci rendano pienamente umani, cioè non soltanto ben informati e competenti, ma anche capaci di dare sempre il primo posto all’amore?
Possiamo chiederci in questa notte di Natale: che cosa di Gesù ha talmente colpito gli Apostoli da portarli a riconoscerlo e ad annunciarlo come il salvatore loro e di tutti? Che cosa ha particolarmente colpito Luca di quanto annunciato dagli apostoli e di quanto vissuto dalle prime comunità che lo spinto a scrivere un racconto degli avvenimenti successi, e ad elaborare una riflessione teologica su di essi di cui i racconti del concepimento, della nascita e dell’infanzia di Gesù ne costituiscono un primo tratto essenziale?
Senz’altro il rovesciamento di certe logiche “mondane”. Proprio mentre Ottaviano si attribuisce i titoli di “Augusto”, cioè grande e venerabile, e di “Divino”, signore delle terre e dei popoli conquistati che stabilisce di censire, Dio entra nella storia con la massima umiltà e semplicità, nelle fattezze di un bambino adagiato in una mangiatoia e rivela la sua identità solo a persone di nessuna rilevanza sociale, quali erano considerati i pastori a quel tempo nel mondo ebraico. Egli la pensa al rovescio dei potenti e dei superbi e condivide le necessità degli umili e degli affamati… allo stesso modo la prima comunità cristiana, liberata dall’ambizione e dalla supponenza, vive la fraternità e la comunione dei beni, con umiltà e semplicità, permettendo a ciascuno di venire finalmente corrisposto nei propri bisogni e di vivere nella gioia.
Questo modo di essere di Dio, più volte prospettato dai profeti, rivelato e incarnato da Gesù, assimilato dai suoi discepoli è ciò che chiamiamo “salvezza”: l’inizio di un’umanità nuova, che vive in quella pace che Dio dona a tutti gli uomini che Egli ama. Quell’amore vissuto da Gesù fino al dono totale di sé, unica cosa che ci ha chiesto di vivere esattamente come Lui, splende già nel volto di quel bambino nella mangiatoia, la cui immagine veneriamo in questa notte nei nostri presepi, davanti ai quali molte volte sostiamo più con l’atteggiamento di chi di fronte alla complessità della realtà cerca una fuga rasserenante nel mondo delle favole che non per attingere a questa sorgente zampillante nuove energie per vivere da autentici figli di Dio, nella fraternità e nel sostegno reciproco.
Il giorno di Natale, ci viene proposta un’altra pagina di Vangelo, un po’ più complessa del poetico racconto di Luca, i primi diciotto versetti di Giovanni, il cosiddetto prologo in cui egli espone le line portanti della sua teologia: Gesù ci viene presentato come Verbo di Dio, che comunica vita, grazia e verità, vera luce che illumina ogni uomo… lo si può rifiutare (come hanno fatto i capi ebrei crocifiggendolo) o lo si può accogliere e divenire così figli di Dio (quindi si nasce amati da Dio, ma si diventa suoi figli per fede) che hanno in se la sua stessa vita, ossia il suo modo di amare. “Il Verbo si fece carne (il termine carne nella Bibbia descrive l’uomo nella sua debolezza e precarietà, esattamente come il bambino nella mangiatoia) e venne a piantare la sua tenda (come fatto da Dio durante l’esodo dall’Egitto) in noi”; e si è fatto “carne da mangiare”, ascolteremo al capitolo sesto, ossia vita donata da accogliere e assimilare: “ chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha in se la vita dell’Eterno… dimora in me e io in lui… vivrà per me” (Gv 6,54-57).
Quando ci auguriamo Buon Natale allora, fratelli e sorelle, ci auguriamo di essere più pieni di Dio, di diventare sempre più pieni di Lui e del suo amore, di trasformarci noi in quella capanna di Betlemme da cui si irradia amore e pace verso ogni persona. Le preoccupazioni, le povertà, le sofferenze, i lutti che questa pandemia sta generando verranno sconfitti certo da comportamenti accorti e da cure efficaci, ma sarà davvero poco se non ne usciremo pienamente umani, cioè da persone che sanno amare come Dio ha amato noi.
Buon Natale a tutti, fra’ Mario.
Dimora della Parola di Dio
celebriamo la quarta domenica del tempo di Avvento, la domenica di Maria: su di Lei scende la forza di Dio (in ebraico Gavriel) per realizzare l’impossibile: concepirà un figlio, lo darà alla luce e lo chiamerà Gesù e tutti lo riconosceranno come il Figlio dell’Altissimo, il Figlio di Dio, e si porranno sotto la sua signoria che non avrà mai fine. La giovane ragazza galilea dapprima turbata di fronte alla straordinarietà dell’evento annunciato, manifesta poi l’atteggiamento di fede più alto che una persona umana possa esprimere: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.
L’evento dell’incarnazione del Figlio di Dio raccontato da Luca è una delle pagine più belle e più profonde del suo Vangelo, e per questo anche una delle più lette, unitamente alle Beatitudini di Matteo, nel corso dell’anno liturgico… eppure ogni volta è una lettura sconvolgente, di quelle che riempiono il cuore di gioia e di speranza, di quelle che ti fanno riprendere anche nei momenti più fallimentari della vita: nulla è impossibile a Dio quando una persona sa offrirgli un briciolo di fede e di disponibilità. Questo è un po’ il succo di tutta la Bibbia: un’intensa storia d’amore che vede come protagonisti Dio e l’umanità, l’onnipotenza e la fragilità, la sovrabbondanza di doni e l’accoglienza sempre un po’ scricchiolante, obiettivi da capogiro e percorsi per centrarli che a volte si fanno troppo contorti…
Eppure, ecco la buona notizia del Vangelo, in Gesù il divino e l’umano si incontrano finalmente il pienezza, i progetti vengono svelati, le promesse si realizzano, la collaborazione si fa totale, l’amore ha definitivamente il sopravvento su ogni forma di male, la vita, quella vera, trionfa sulla morte. Questa è la proclamazione fondamentale (il kerigma) degli Apostoli, testimoni oculari dell’evento Gesù, della sua predicazione e della sua missione, della sua morte e della sua risurrezione, mediante la quale Dio lo ha costituito Salvatore, Colui che rende partecipi tutti gli uomini della vita che viene da Dio, Cristo, colui che realizza le promesse fatte ad Israele, e Signore, vitale punto di riferimento di tutti coloro che credono in Lui.
A questa fede gli Apostoli sono arrivati sia ascoltando la predicazione di Gesù, i suoi discorsi e le sue parabole, sia assistendo al suo prendersi cura degli altri e ai suoi miracoli, sia ancora vedendolo morire sulla croce e sperimentandolo poi vivo in mezzo a loro, presenza che sono riusciti a decifrare comprendendo più profondamente le Scritture, sotto l’azione dello Spirito Santo. E’ grazie alle Scritture che potranno comprendere l’identità e la missione di Gesù, e grazie allo Spirito farla propria e continuarla in ogni tempo e in ogni luogo e verso ogni persona.
I “vangeli dell’infanzia”, che noi leggiamo superficialmente come la cronaca degli avvenimenti del concepimento, della nascita e dell’infanzia di Gesù, in realtà sono una riflessione teologica che espone l’ultimo stadio dell’approfondimento dell’identità di Gesù e della sua missione: il Crocifisso/risorto è Colui che ci salva perché è il Verbo di Dio incarnato, perché è stato mandato dal Padre per realizzare le promesse contenute nelle Scritture. E anche se la narrazione si snoda con riferimenti a situazioni storiche e immagini di grande poesia, tuttavia la trama del racconto è costituita da tutta una serie di citazioni bibliche che permettono di riconoscere in Gesù, già nei primi istanti della sua esistenza, il Messia atteso (Matteo) e il Salvatore di tutta l’umanità (Luca). Proprio a proposito del testo lucano l’esperto biblista cappuccino Ortensio Da Spinetoli osserva: L’autore appare come un profondo conoscitore della Bibbia e ha redatto un testo «meditato, studiato, misurato col preciso scopo di raggiungere la più elevata esaltazione del Messia e della Madre».
Quindi, leggendo il brano di oggi, la nostra attenzione non deve concentrarsi sui moduli narrativi scelti, che ricalcano racconti di annunci di nascite straordinarie già presenti nell’Antico Testamento, ma sull’evento che essi rivelano: Dio si è fatto uomo (e le fattezze umane le ha prese proprio da Maria) ed è venuto ad abitare, cioè a vivere in mezzo a noi, con noi e per noi, non in una casa come avrebbe voluto il Re Davide (vedi prima lettura), ma in un mondo nuovo che ha inizio con l’Incarnazione e crescerà di secolo in secolo, per sempre. Ora se i titoli già citati, Figlio dell’Altissimo e Figlio di Dio, esaltano la figura del nascituro e ce lo presentano mediante il nome Gesù come il Salvatore dell’umanità, la figura di Maria viene esaltata mettendo in risalto ciò che Dio fa in Lei: la colma della sua grazia e la consacra, fa scendere su di lei il suo Spirito, come anche dalla profondità della sua risposta: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola”.
Qualche giorno dopo, nel seguito della narrazione, sarà la sua parente Elisabetta, sotto l’azione dello Spirito Santo, a proclamare per prima questa grandezza, riconoscendo in Maria la “Madre del Signore” e riservando a Lei la più alta beatitudine biblica: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Così Luca, come in tante altre occasioni, rimette al centro il vero protagonista di ogni autentica esperienze di fede e della missione della Chiesa: la Parola di Dio, da accogliere con totale disponibilità e da “incarnare” con una vita che si fa dono, in un umile e intenso servizio quotidiano alla crescita della fraternità e della gioia.
Gli ultimi passi verso il Natale, compiuti nella luce di Maria, possano portarci a vivere con più intensità il nostro essere persone gioiose in cui la Parola di Dio dimora abbondantemente.
Buona settimana, fra’ Mario.
Appuntamenti Tempo di Natale
Carissimi fratelli e sorelle,
colgo l’occasione per comunicarvi gli appuntamenti di questo ‘particolare’ Tempo di Natale per esternare a tutti una riflessione, già condivisa con alcuni, a seguito dell’Adorazione Eucaristica del 3 dicembre.
Pur comprendendo la difficoltà ad essere presenti a motivo della pandemia, o per impegni vari di famiglia o di lavoro, mi sembra che nella nostra Parrocchia mentre ci diciamo convinti della necessità di condividere momenti di preghiera e di riflessione, poi li disertiamo quando vengono proposti. Questo può contribuire a tener vive quelle “malattie” sulle quali ci siamo confrontati nel percorso diocesano dell’autosufficienza e dell’autoreferenzialità nei singoli, negli operatori pastorali e, in particolare, negli appartenenti ad associazioni e movimenti (tendenzialmente portati a privilegiare la partecipazione alle proposte offerte nei propri rispettivi percorsi). “Malattie” dalle quali non siamo esenti noi stessi presbiteri (come dimostra il passato remoto e recente) e per la cura della quali abbiamo fatto la scelta appunto di dedicare il lunedì alla preghiera, alla riflessione e alla celebrazione eucaristica comunitaria, e negli altri giorni di celebrare insieme almeno i vespri con i fedeli presenti in chiesa.
Sia chiaro: sono molti i “carismi” e le sensibilità da valorizzare e armonizzare, perché contribuiscano alla crescita di tutta la comunità e possiamo prenderci cura gli uni degli altri con “cuore di Padre” (obiettivo indicatoci da Papa Francesco lo scorso 8 dicembre nella lettera “Patris corde”) … per cui diciamo no all’uniformità e all’appiattimento, ma anche un no deciso all’autopromozione e alle derive autonomistiche. Piuttosto educhiamoci, soprattutto le persone con responsabilità pastorali (presbiteri, diaconi, accoliti, ministri straordinari della comunione, operatori caritas e volontariato, catechisti, animatori…) e gli appartenenti ad associazioni, cammini e movimenti… a sospendere i “propri appuntamenti” quando c’è da convergere, durante la settimana o il mese, su un momento forte comunitario di preghiera o di formazione.
Già in questo Tempo di Natale, nel pieno rispetto delle disposizioni anti covid che ci impongono orari diversi dal solito per le celebrazioni e del fitto calendario di appuntamenti comunitari, dal 22 dicembre al 6 gennaio inviterei tutti a partecipare agli appuntamenti (in presenza o online) indicati qui di seguito e sospendere incontri di preghiera e celebrazioni particolari di ogni realtà parrocchiale.
MARTEDI 22 DICEMBRE ORE 18: CELEBRAZIONE PENITENZIALE
GIOVEDI 24 DICEMBRE ORE 18 (per non sovrapporsi con quella presieduta dal Papa alle 19,30):
MESSA DELLA NOTTE DI NATALE (se buon tempo all’aperto)
VENERDI 25 DICEMBRE – NATALE – ORARIO S. MESSE: 7,30 – 9.30 – 11.00 (se buon tempo all’aperto) –
18.00
DOMENICA 27 DICEMBRE – S. FAMIGLIA – ORE 18: S. MESSA E RINNOVO PROMESSE MATRIMONIALI
GIOVEDI 31 DICEMBRE ORE 18: S. MESSA DI FINE ANNO E INIZIO DEL NUOVO - TE DEUM
1 GENNAIO – ORARIO S. MESSE: 7,30 – 9.30 – 11.00 – 18.00
MERCOLEDI 6 GENNAIO ORE 18 - S. MESSA E ADORAZIONE DEL BAMBINO GESU’ .
Permettetemi, prima di salutarvi, di sottolineare quella che reputo essere un’altra lacuna abbastanza seria della nostra comunità: una conoscenza troppo approssimativa delle Sacre Scritture. Credo che sarebbe opportuno organizzare una seria di incontri guidati da un esperto, nei prossimi mesi di febbraio e marzo, che ci aiuti ad acquisire le competenze necessarie e un metodo adeguato per una lettura più proficua della Bibbia. Buona preparazione al Natale, fra’ Mario.
Voce per raccontare Lui
III DOMENICA DI AVVENTO Anno B
Carissimi fratelli e sorelle,
in questa terza domenica di attesa sempre più gioiosa della venuta del Signore, ancora una volta, il personaggio che ci guida all’incontro con Lui è Giovanni il Battista. Il brano di Vangelo che leggiamo è tratto dal prologo del Vangelo di Giovanni che ce lo presenta in modo solenne come “un uomo mandato da Dio”, il “testimone della luce”, la “voce che grida nel deserto” annunciata da Isaia, il battezzatore che “conosce”, cioè già crede, in Colui che “viene dopo di lui”… uno, insomma, autorevole e credibile, capace di discernere le vie di Dio, la sua presenza tra noi e lo stile da assumere per accoglierlo nella propria vita.
Giovanni il Battista è uno che affascina, che attira le folle, che ha un seguito di discepoli entusiasti. Vive e svolge la sua attività in una zona in cui è forte la presenza degli Esseni, un gruppo ebraico dissidente da cui sono nate delle comunità di tipo monastico, composte da celibi che vivevano la comunione dei beni e si dedicavano allo studio della Parola di Dio, nell’attesa del Messia che avrebbe ridato vita al regno terreno del Dio d’Israele. Per questo i farisei istruiscono nei confronti di Giovanni un’inchiesta e viene mandata da lui una delegazione perché egli chiarisca la sua posizione: chi sei? Cosa dici di te stesso? Perché battezzi?
Domande incalzanti alle quali Giovanni avrebbe potuto rispondere esibendo credenziali e curriculum, difendendo la legittimità della propria predicazione e del proprio operato… Invece, lui quasi quasi si fa da parte per annunciare qualcuno più importante di lui, che già è presente, ma di cui essi non conoscono la vera identità. Veniamo così introdotti in una delle tematiche più ricorrenti del Vangelo di Giovanni: i farisei manifesteranno sempre un viscerale rifiuto nei confronti della persona di Gesù perché non ne conoscono, cioè non vogliono riconoscere, la sua vera identità.
Il giorno dopo il battezzatore darà una testimonianza ancora più chiara quando vedendo Gesù lo riconoscerà come “l’Agnello di Dio” e due dei suoi discepoli, uno dei quali era Andrea il fratello di Pietro e l’altro, proprio perché rimasto anonimo, si ipotizza fosse lo stesso evangelista, si metteranno a seguirlo e andranno a casa sua per rimanere insieme a lui, un incontro che li segnerà per sempre e di cui ricorderanno addirittura l’ora in cui avvenne “erano circa le quattro del pomeriggio”.
Giovanni il battezzatore non è dunque un fanatico esibitore delle proprie certezze di fede, né un maestro geloso dei propri discepoli, ma un vero profeta, uno che non ha niente di suo da annunciare o da difendere, ma è “voce” di un altro e riflesso della sua luce, immerge nell’acqua sapendo che vi scorre una vita non sua, è pronto a seguire colui che egli precede e a lasciare la scena, umile servitore anche più di uno schiavo, egli sa bene che non è lui che va cercato e incontrato e orienta il desiderio dei suoi verso l’altro, davanti al quale finalmente Andrea potrà dire: “abbiamo trovato”.
Ci mettiamo in ascolto di Giovanni, dunque, non soltanto con la curiosità di sapere se sia lui o noi l’inviato di Dio che stavamo aspettando, né solo per sentirci dare la buona notizia che il tempo dell’attesa è finito perché colui che ha in sé lo Spirito di Dio è già in mezzo a noi, ma per assimilare questo suo stile di fede: essere voce e non parola, essere raggio e non fonte della luce, essere acqua ma non sorgente, essere traccia e non il piede, essere a servizio e mai padroni, essere sempre una porta spalancata che rende possibile la gioia dell’incontro. Il ruolo di Giovanni non si esaurisce nel fornire le indicazioni giuste per incontrare Gesù, ma quando dopo l’incontro, ciascuno potrà dire: “abbiamo trovato”… la persona giusta da mettere al centro del nostro cuore e il modo di vivere che riempie le nostre giornate di senso e di gioia.
La prima lettura di oggi ci propone dal capitolo 61 di Isaia il testo letto e applicato a se stesso da Gesù nella sinagoga di Nazareth: “Lo Spirito del Signore è su di me… mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri…” (Lc 4,18). Quando Giovanni imprigionato da Erode invierà i suoi discepoli a chiedere a Gesù se sia lui quello doveva venire o se bisognasse aspettare un altro Egli risponderà ancora una volta con le stesse parole: “i ciechi recuperano la vista… il Vangelo è annunziato ai poveri…” (Mt 11,5). Giovanni è colui che ha visto lo Spirito del Signore posarsi su Gesù (Mt 3,16) e la sua vita spesa per i ciechi, gli zoppi, i poveri… Questo è il DNA di colui che viene da Dio, buona notizia per chi attende, strada da intraprendere per chi si lascia comunicare lo stesso Spirito.
In questo nostro tempo, allora, in cui molti alzano la voce per comunicare quelle che restano soltanto delle loro opinioni e si propongono allo sguardo solo per farsi ammirare, in cui i catturatori di audience brillano per un attimo per poi sprofondare nel vuoto non appena si sono spene le luci, in cui ciascuno è tentato di sentirsi qualcuno solo perché un certo numero di persone hanno accompagnato la sua esibizione con un “mi piace” e qualche “cinguettio”… è più che mai urgente lasciarsi raggiungere dalla voce di Giovanni , uno che non cerca il centro della scena o appaganti gratifiche, ma sa indicare con precisione chi è colui che può dare alla vita un’altra direzione, risvegliare i grandi desideri, riaccendere nel cuore la passione e infondere l’energia per realizzare da subito le “grandi cose” di Dio.
Se nelle nostre chiese fossimo un po’ più come Giovanni, la smetteremmo di contare quanti siamo e di calcolare l’età media, di esibire titoli e rivendicare posizioni di privilegio, di vantarci dei nostri ruoli e di distribuire caramelle ai più buoni… e torneremmo a raccontare a tutti a voce piena: abbiamo trovato quello che cercavamo, quel Gesù che ancora una volta è davvero tornato tra noi.
Buona e gioiosa settimana a tutti, fra’ Mario.