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Piccole finestre sulla vita di San Felice da Cantalice

 

 1. La quercia

A Cittaducale, mentre gi? da qualche anno era a servizio come contadino e pastore della facoltosa famiglia di Marco Tullio Pichi, era spesso costretto a stare in compagnia di altri dipendenti per ragioni di lavoro, a dover trascorrere la notte sotto la stessa capanna, a collaborare quotidianamente cos? come si fa nella vita agricola. Non mostrava ancora apertamente le aspirazioni della sua anima, di cui si mostrava geloso; aspettava allora le ore della notte per riacquistare la piena libertà di conversazione con il Cielo.

Così abbandonava in punta di piedi il giaciglio notturno e si rifugiava sotto una quercia appartata, sul cui tronco aveva inciso una croce con il coltello. Qui rimaneva per lunghe ore in ginocchio e in penitenza a pregare; spesso piangeva lungamente sui peccati suoi e degli altri compagni di lavoro. Qualcuno lo spiò e la voce si diffuse tra i suo compagni, i quali ne compativano la diversit? e se ne burlavano, ma nello stesso tempo ne rimanevano colpiti.

Così i primi contraddittori di Felice ne furono anche i primi testimoni.

(Cfr. Remo Branca, L'asino dei frati, Ed. Ancora, Milano 1963, pag. 29-33)

 

2. Al lavoro la domenica

Una domenica i padroni di Felice gli ordinarono di andare a lavorare un campo che si trovava distante da Cittaducale. Egli se ne dispiacque molto, perchè questo gli avrebbe impedito di andare a Messa.

Dopo qualche giorno, grande fu la sorpresa di molti che trovarono il lavoro in campagna sbrigato a regola d'arte e videro che Felice aveva però anche devotamente partecipato alla Messa domenicale in paese! Egli dovette dimostrare al suo padrone di essere stato in campagna, lontano, a svolgere il lavoro che gli era stato affidato e che aveva trovato un modo anche di essere a Messa.

Un modo, insomma, di far essere contemporaneamente in chiesa e in campagna.

(Cfr. Remo Branca, cit., pag. 37)

 

3. L'aratro sul cuore

aratro.jpg Un giorno messer Marco Tullio Pichi chiese a Felice di accompagnarlo al campo detto "Immagine", al di là del fiume, per la consueta aratura autunnale. Un paio di buoi avrebbero fatto il lavoro. Arrivati in campagna, Felice li aggioga all?aratro e mentre cerca di liberare le zampe dalle funi i giovenchi, sentendosi liberi, atterrano Felice e lo travolgono, calpestandolo. L'aratro gli passa sul corpo. Sembra finita. Felice : una macchia scura e lacera. Si muove. Silenzio. Il padrone accorre. L'aratro ha lacerato tutti i panni, ma lo ha lasciato indenne.
Felice si tocca: nè un dolore nè una goccia di sangue. D'improvviso, resosi conto della cosa assolutamente incredibile, si buttò in ginocchio e da quel giorno disse al suo padrone di voler  servire nella religione del santissimo patriarca Francesco.
(Cfr. Remo Branca, cit., pag. 41)

4. La febbre quartana
Un giorno Felice, mentre era ormai novizio nel convento di Fiuggi, fu preso da una violenta ?febbre quartana? per lunghi giorni. I frati cominciarono a impensierirsi, perch? il noviziato non ? un ospedale e non si possono immettere i malati nella famiglia cappuccina. Fecero una votazione e decisero di mandarlo in prova definitiva al convento di Monte S.Giovanni Campano, ancora febbricitante.
Nonostante il viaggio, la febbre in quel luogo finì inspiegabilmente. E così il 18 maggio 1545 Felice fece la professione e divenne frate cappuccino.
(Cfr. Remo Branca, cit., pag 74)

5. La testa fra le mani
Trasferito a Roma nel 1548 continuò a fare come quando era bifolco (v. quadro n. 1): si alzava di notte per pregare. Fu sorpreso più volte a dormire in ginocchio, con la testa fra le mani davanti all'Eucarestia in chiesa. Ormai tutto il convento sapeva che fra Felice era fatto a quel modo. Diceva: - Io non ricordo di aver mai dormito se non per lo spazio di un miserere; e quando il sonno mi assale vado nell'orto a lavorare per svegliarmi, così posso tornare in chiesa -.
(Cfr. Remo Branca, cit., pag. 105-6)

 

6. Gli studenti


A Roma fu destinato a fare il "frate cercatore": andare di casa in casa per l'elemosina. I quartieri erano quelli che dal colle Quirinale scendono fino a Trastevere. Egli finì per farsi notare , semplice e allegro. Nel passare sempre davanti al Collegio germanico tagliava la folla degli studenti che salutava con le parole: - Deo gratias -. Quel saluto divenne così puntuale e caratteristico che alla fine gli scolari quando lo vedevano arrivare annunciavano: - Ecco Deo gratias -. Un giorno fra Felice propose loro di cantare a voce alta Deo gratias. E quando questi lo fecero si commosse e cominciò a piangere di gioia. (Cfr. Remo Branca, cit., 110)


7. Due santi


Al momento di uscire dal convento a chiedere l'elemosina diceva al compagno: - Andiamo frate: gli occhi a terra, la corona in mano, il cuore a Dio -. Si accorse di lui Filippo Neri, un prete che a Roma tutti consideravano santo per il bene che faceva al popolo e ai giovani. Un giorno gli si avvicinò  e, per vedere se fra Felice fosse veramente umile come dicevano, gli mise il suo cappello da prete in testa: - E ora andate - gli intimò - e continuate la vostra cerca -. Fra Felice prosegu? tranquillo per tutta via del Pellegrino incurante della sorpresa dei passanti, mentre Filippo Neri lo seguiva da lontano senza cappello, cosa che per un prete di quel tempo non era usuale. Più tardi gli si avvicinò e levando bruscamente il cappello dalla testa di fra Felice disse: - Riferite questo ai vostri superiori affinchè vi infliggano la penitenza che meritate -. Felice rispose: - Ah, veramente per amor di Dio farò volentieri la penitenza che mi procurerete. (Cfr. Remo Branca, cit., pag 112)
8. Il Cardinale
Avendo saputo che fra Felice aveva una grande sopportazione, il cardinale Sforza lo volle mettere alla prova. E andatogli incontro con la carrozza, lo salut? e con un pretesto qualsiasi gli mise una rosa sull'orecchio e gli diede in mano una pesca dicendogli di continuare il suo giro conciato in quel modo. Così arrivò fino al convento. Alla porta il frate che lo accompagnava gli sfilò la rosa e gli prese la pesca: - Bravo! Tu hai fatto la penitenza e io mi mangio la pesca! -. (Cfr., Remo Branca, cit., 115)

 

 

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9. La fiasca del vino

 

Un giorno Filippo Neri incontrò per strada fra Felice che gli chiese: - Non hai sete, padre Filippo?

- Certo che ho sete.

- Ecco per te - e tolse dalla bisaccia la fiasca del vino elemosinato e gliela porse.

- Bevi subito, così vedrò se sei veramente assetato -. Filippo non esitò e in mezzo alla strada bevette di gusto e a lungo.

La gente in disparte osservò l'incontro e fu sentita una voce dire: - Ecco un santo che dò da bere a un altro santo!

(Cfr. Remo Branca, L'asino dei frati, Ed. Ancora, Milano 1963, pag. 116)

 

10. Gli uccellini

 

Fra Felice quando riceveva dal frate cuciniere del pane fresco, spesso non lo teneva per sè, ma si divertiva ad andare nell'orto del convento e a sbriciolarselo sulla testa e sulla barba e poi attendeva a braccia aperte: i passeri lo riconoscevano e gli volavano intorno fiduciosi e poi gli si mettevano addosso a beccare un pasto che era tutto per loro.

(Remo Branca, cit., pag. 135)

Le cinque lettere

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11. Le cinque lettere

Fra Felice sapeva intagliare il legno, lo aveva imparato dai pastori. I suoi oggetti preferiti erano delle piccole croci, che poi distribuiva ai benefattori del convento. Spesso, mentre le faceva le bagnava di lacrime, pensando alla passione di Gesù. Richiesto se sapesse leggere rispondeva: - Io non conosco che cinque lettere rosse, come le piaghe di nostro Signore Crocifisso , e la lettera bianca , la devozione della Beatissima Vergine Maria.

(Cfr. Remo Branca, cit., pag.136 )


12. Le fave

Un giorno mentre era sulla strada di Cantalice per portare l'Indulgenza Plenaria di Gregorio XIII , bussò alla porta di una casupola di Moncasale , dove viveva la famiglia del fratello maggiore. Felice si impensierì quando vide la cognata che si preoccupava di preparare una bella cena.

- No, lascia stare, questi cibi pesanti non vanno più per me. Mi bastano poche fave fresche. Me ne è venuto desiderio, quando ho visto fuori che le coltivate.

- Ma che dici , fra Felice. Le piante sono appena nate: se la stagione riscalda di fave se ne parla tra sei o otto settimane.

Fra Felice insistette, tanto che la cognata, per non sembrar scortese, lo portò a vedere le pianticelle, ma ...trovò tantissime fave e non potè fare altro che riempire il grembiule.

Felice mangiò la sua pù bella cena, tanto più che la strada era lunga e all'alba avrebbe preso il ritorno.

(Cfr. Remo Branca, cit., pag. 149)

 

13. La levitazione

Tutti i frati sapevano che di notte Felice si alzava per andare a pregare in chiesa. Una notte fra Dionisio da Patemo si nascose per osservare il compagno. Lo vide entrare dalla parte del coro gridando: "Gesù, Gesù!" e poi pregare a lungo in ginocchio, levarsi in piedi con le braccia aperte. Ma incontrollabile fu la sua sorpresa quando lo vide in quello stato alzarsi da terra e rimanere sospeso come fuori di se.

Fra Dionisio - raccontò poi - fu invaso da timore, perdette il controllo, fece rumore e così risvegliò fra Felice dall'estasi. Egli lo rimproverò dolcemente e lo pregò di conservare il segreto.

(Cfr. Remo Branca, cit., pag.177)

 

14. Il Natale

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Mentre si avvicinava il Natale i frati avevano notato che Felice era sempre più raggiante. Tutte le sue attenzioni erano rivolte al grande avvento, all'altare, al presepio dove fra poco sarebbe stata fatta memoria della nascita di Betlemme. Alla vigilia di Natale frate Alfonso Lupo, cappuccino noto per dottrina e santit? di vita, si propose di tenerlo d'occhio. Si nascose in chiesa, nel pulpito. Nella notte arrivò Felice, correndo lieve lieve nel silenzio della chiesa e si ferm? in fondo, al buio, avendo alle spalle la porta maggiore dell'ingresso.

Frate Alfonso ascolt? l'invocazione a Maria: Oh! Gli concedesse di poter adorare il divino fanciullo veramente, come i pastori accorsi alla grotta.

Poi, a un certo punto, sentì una corsa leggera lungo la navata e verso l'altare e si sporse dal pulpito per vedere senza essere visto e fu gi? molto se i suoi sensi ressero all'emozione: Felice aveva teneramente fra le braccia Gesù bambino, e gli faceva festa con mille grazie, mentre una bianca figura luminosa di donna assisteva, alta. Poi sent che diceva - Oh Dio! Gesù figlio di Maria, perchè ti sei staccato così presto dal tuo povero fra Felice? perchè? perchè mi hai lasciato ancora in questo mondo? perchè non mi porti in Paradiso ? Ti ringrazio, Vergine Madre mia! Ti ringrazio della carità che hai fatto a questo misero e indegno frate. Ora nulla posso oltre aspettarmi dalla vita...

 

(Cfr.,Remo Branca, cit., pag.178)

 

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