Carissimi fratelli e sorelle,
il brano di Vangelo di questa quarta domenica di Quaresima è tratto dal capitolo terzo di Giovanni in cui tramite la forma letteraria di un dialogo tra Gesù e un membro del sinedrio, Nicodemo, uno dei “capi dei Giudei” come li chiama l’evangelista, ci viene presentato il superamento della dottrina giudaica della “vita eterna” come premio che Dio, in qualità di giudice supremo, conferisce a coloro che se lo meritano. Con quali argomenti Gesù smonta questa tesi che, a ben vedere, è ancora tanto presente nella mentalità di molti cristiani?
Il Maestro nazareno inizia ricordando un episodio emblematico dell’Esodo narrato nel libro dei Numeri (21,4-9): il popolo protesta contro Dio e contro Mosè che li hanno condotti a morire nel deserto con un itinerario mal progettato e senza senso. Allora per punizione essi si imbattono in un territorio abitato da serpenti velenosi e molti muoiono. Per il pentimento del popolo e la preghiera di Mosè Dio chiede che sia innalzato su un palo un serpente di rame perché chiunque lo guardi sia guarito, non dall’oggetto in se, che sarebbe magia, ma dalla preghiera a Lui, Salvatore di tutti (come preciserà il libro della Sapienza 16,5-7). Come Dio ha salvato il popolo in quella situazione particolare attraverso l’innalzamento del serpente di rame, ora Egli offre un segno del suo grande amore per il mondo, ossia anche per quell’umanità che non vive in sintonia con Lui, innalzando il Figlio dell’uomo, cioè facendolo passare dalla morte alla vita attraverso la crocifissione/glorificazione, perché tutti mediante il dono del suo Figlio Unigenito abbiano la vita.
Dio, prosegue Giovanni, non manda il Figlio a giudicare e condannare, quindi premiare o castigare a seconda della qualità delle azioni dell’uomo, ma a salvare, a dare la possibilità di vivere un’esistenza nuova, piena di senso, di amore e di gioia, che ha inizio proprio quando si accoglie il Figlio nella propria vita (si guarda a Lui), ci si lascia folgorare dalla grandezza del suo amore e lo si assimila: questa è l’esperienza che genera una nuova vita. Chi non accoglie questo grande dono si condanna da solo a vivere un’esistenza insignificante, che produce solo fallimento.
Siamo, dunque, invitati a superare la mentalità a cui accennavo sopra che ci ha condotti a farci un immagine di Dio come di un giudice giustizialista e a pensare che la vita eterna sarà un premio finale riservato ai più buoni. Gesù ci offre tutta un’altra prospettiva che investe il nostro presente, il nostro quotidiano, che si fonda non sulla sostenibilità delle dottrine riguardanti il dopo morte o sulle dottrine morali che prevedono ricompense per le opere buone, ma sul fatto che Lui ci ha amati donando tutto se stesso per noi, come leggiamo anche nella seconda lettura di oggi in cui Paolo afferma perentoriamente: “Per grazia siete stati salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; ne viene dalle opere perché nessuno possa vantarsene”.
E’ necessario passare quanto prima, se ancora vi siamo invischiati, da una religiosità dell’autoproduzione della salvezza, dell’essere bravi per avere dei crediti nei confronti di Dio, o, viceversa, dell’essere pieni di sensi di colpa per le proprie debolezze e cadute e di conseguenza sempre nella necessità di pratiche espiatorie o di intercessioni di questo o quel protettore, ad una fede che può dirsi autentica se fondata sull’adesione piena alla persona e al messaggio di Gesù, Colui che ha accettato di farsi debole fino alla morte di croce pur di amarci fino alla fine, mosso dalla certezza che Dio è un papà che non abbandona mai nessuno al proprio destino, che ci accompagna e sostiene in ogni vicenda della vita, che è sempre pronto a dare una “qualità” inaspettata al nostro vissuto: il sapore dell’Eterno, inteso non come attesa di un qualcosa dalla durata illimitata, ma come esperienza profonda di quell’amore gratuito che rende umili, grati, generosi e felici da oggi, ogni giorno di più.
Questa luce che brilla sul mondo, l’energia trasfigurante dell’amore gratuito, può essere accolta o rifiutata. Questo è il giudizio: sta alla libera decisione di ogni persona accogliere il dono di Dio o tirarsene fuori. E’ una realtà che Giovanni ci ha presentato dall’inizio: “la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta (1,5), il Crocifisso innalzato da una parte rivela l’iniziativa amorevole e gratuita del Padre, ma dall’altra purtroppo anche il massimo rifiuto di essa. L’amore non si impone ne agisce automaticamente, si offre e chiede di essere accolto, chi lo fa passa così dalle tenebre alla luce e le sue opere divengono luminose. E’ questo ciò che ci viene proposto anche nel discorso della montagna: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt5,16). Glorifichino il Padre che è l’autore della nostra trasformazione, il potenziatore della nostra libertà, la sorgente di opere che non nascono dal nostro desiderio di affermazione e gratificazione, ma dal nostro rimetterci liberamente e responsabilmente nelle sue mani, come afferma Paolo nel brano succitato: “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo”.
La Pasqua che si avvicina alimenti in noi allora il desiderio, e non l’ambizione, di essere liberati dalle nostre zone d’ombra, per agire in quel modo “meraviglioso” proprio di coloro che non hanno occhi se non per guardare a quell’amore gratuito innalzato per sempre sul trono della croce.
Buona settimana, fra’ Mario.