Carissimi fratelli e sorelle della mia comunità parrocchiale e non,
anche in questa seconda domenica di quaresima vorrei proporvi una riflessione, così come avrei fatto se fossi stato li presente, nella consapevolezza di esprimere solo un punto di vista che insieme a quello di ciascuno va ad arricchire quella visione d’insieme, che è un’espressione privilegiata di sinodalità.
La Liturgia ci propone la pagina evangelica della “trasfigurazione”. Se domenica scorsa ho portato la vostra attenzione sui limiti di una lettura ascetico moralistica, oggi altrettanto vorrei farlo nei confronti di una lettura devozionale, ancora tanto presente ai nostri giorni, che tende sempre a mettere Gesù su un piedistallo speciale, trasformandolo così in un oggetto di culto, da venerare e adorare, e sul piano pratico, in un modello di vita irraggiungibile nel quotidiano. Allo stesso modo, essendo un testo che ci viene proposto ogni anno almeno due volte (in questa domenica e il 6 agosto), dobbiamo stare attenti al pericolo della ripetitività, a non leggere il Vangelo con quella sorta di precomprensione che ci siamo fatti negli anni e con un atteggiamento di autosufficienza che ci porta a tirare sempre le solite conclusioni, senza riuscire ad elaborare indicazioni adeguate per questo tempo ogni giorno così profondamente nuovo.
I vangeli sinottici collocano l’evento della trasfigurazione al termine della predicazione in Galilea, dopo il soggiorno a Cesarea di Filippo dove avviene un primo “svelamento” dell’identità di Gesù: gli apostoli lo riconoscono per bocca di Pietro come il Cristo, il Messia inviato da Dio… Gesù annuncia generando il loro disappunto che essere Messia significa dare la vita per gli altri, e a questo sono chiamati i discepoli, coloro che vogliono camminare dietro di lui.
Matteo e Marco raccontano che “Sei giorni dopo…”. Una nota cronologica raramente usata dagli evangelisti e che serve appunto a collegare il nuovo “svelamento” a cui stiamo per assistere al precedente, per capire sempre più che ciò che rende luminosa la vita del maestro e dei discepoli è appunto il dono della vita. E’ suggestivo leggervi anche un rimando al libro della genesi, al sesto giorno della creazione, al giorno in cui vengono alla luce l’uomo e la donna “a immagine e somiglianza di Dio”, cioè portatori della sua stessa identità, che il Figlio, il prediletto in cui la compiacenza del giorno della creazione arriva a compimento, rivela pienamente, in quel dono di sé che rende sublimi le relazioni.
“E fu trasfigurato davanti a loro”: lo videro in tutta la sua luce… Il brano rimanda certamente a quell’esperienza di un’energia straordinaria di cui gli apostoli si sentirono investiti dopo la crocifissione e in cui seppero riconoscere la presenza del maestro, risuscitato, reso vivo per sempre dallo Spirito, capace di imprimere, come già in vita, un’altra direzione alla loro esistenza e questa volta per sempre, senza più paure o tentazioni di tornare indietro. Se lo scienziato ci offre come chiave di volta per la comprensione della storia dell’universo la teoria dell’evoluzione, e il prammatico quella dello sviluppo tecnologico… il credente la coglie proprio in questo processo di trasfigurazione in cui tutto e tutti siamo coinvolti, in misura diversa e a volte in maniera apparentemente incompiuta, attraversando la valle del pianto o incappando in una morte brutale, ma fortemente ancorati alla certezza che stiamo trasfigurandoci, divinizzandoci… e già da oggi, pur in mezzo alle tenebre, noi possiamo vivere da figli della luce, quali saremo per sempre.
“Ascoltate Lui!”. Ancora una volta la modalità per entrare nella vita che divinizza è quella dell’”ascolto”, espressione che qui viene usata nel senso forte di obbedire, seguire, in definitiva vivere con lo stile del Maestro. Anche Mosè e Elia (personificazioni della Legge e delle scritture profetiche) conversano con lui, si parlano e si ascoltano e così entrano sempre più, ciascuno secondo il proprio compito nel disegno di Dio. Sta a noi oggi, mentre religioni e chiese stanno esaurendo il loro ruolo storico, riscoprire questa sorgente di trasfigurazione che è il conversare con lui, il metterci in ascolto certamente di Mosè e di Elia, ma anche delle voci di chi ci vive accanto e dei molti volti luminosi, attraverso i quali il divino ci affascina e appassiona e ci incoraggia a intraprendere vie di vera fraternità, fino a perdere la vita per gli altri.
“E’ bello per noi stare qui” osserva Pietro che, appagato da quella visione, vorrebbe fermarla per sempre nel tempo: “Facciamo tre capanne”… come facciamo noi oggi con i nostri telefonini con cui trasformiamo
subito momenti pieni di vitalità in sterili ricordi… mute fotografie. Vorrei anche oggi, all’interno del cammino sinodale, applicare quest’immagine alla vita della nostra comunità parrocchiale. Ci sono realtà che hanno vissuto esperienze bellissime di incontro con il Signore e di vita comunitaria e hanno costruito la loro capanna in cui fissare per sempre questa esperienza… e così la parrocchia si è trasformata in una baraccopoli di esperienze parallele e a volte concorrenziali (la capanna dei neocatecumenali, del rinnovamento, dei francescani, dei gruppi famiglia, degli amici del parroco di turno, degli anziani, dei giovani, dei fanatici della loro esclusività…), da cui non si riesce a venir fuori. Ci farebbe bene far risuonare in profondità l’invito rivolto ad Abramo: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre”… Esci dalla capanna che hai costruito intorno alla tua esperienza… quella che ha rappresentato nel passato una pregevole novità ha bisogno di rinnovamento per stare al passo con lo Spirito (vedi la prima riflessione di Padre Raniero Cantalamessa per questa quaresima). Usciamo ciascuno dalla nostra capanna e saliamo insieme alla tenda dell’ascolto per ridiscenderne insieme nelle pianure quotidiane… come ci dice Papa Francesco nel suo messaggio per la Quaresima: “Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete». Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità”.
Buona domenica, fra’ Mario.
P.S.: Giovedì prossimo, 9 marzo, alle ore 19 ci sarà la quinta adorazione sinodale sul tema: Dio non fa preferenza di persone: è il Signore di tutti. Vorrei che questa riflessione arrivasse a tutti i componenti delle varie realtà parrocchiali e che giovedì provassero a partecipare soprattutto colo che non l’hanno mai fatto.