panor ridotta

 

   Carissimi fratelli e sorelle,
70X7.jpgin questa ventiquattresima domenica del tempo ordinario concludiamo la lettura del discorso comunitario nel capitolo 18 di Matteo, che oggi ci offre uno dei più grandi insegnamenti del Vangelo: la misericordia di Dio è senza limiti e così deve essere quella dei discepoli.
  Nel libro della Genesi ( cap. 4) Caino, dopo aver ucciso il fratello Abele, viene maledetto da Dio e condannato a lavorare senza frutto e a vivere come un fuggiasco. “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!” dice Caino a Dio, eppure, anche se è un assassino nessuno avrà il diritto di togliergli la vita, anzi, dice Dio: “Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte”. Un discendente di Caino, Lamech, stimandosi molto più violento del sua avo dirà: “Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette».     
   Forse, proprio riferendosi a questo racconto, il Vangelo di oggi, giocando allo stesso modo con il numero sette, ribalta completamente la visuale: non è la vendetta che va perpetuata in eterno, ma è il perdono che va offerto sempre e per sempre. Perché?
   Già nei secoli precedenti la nascita di Cristo i grandi sapienti come Confucio e Budda insegnavano che la via verso la felicità e la pace non poteva prescindere dalla compassione, dalla rinuncia alla vendetta e dal perdono. Anche la tradizione religiosa ebraica e il pensiero sapiente, di cui troviamo espressione nel brano del libro del Siracide, prima lettura di oggi, affermano la necessità di evitare come cose orribili rancore, ira e vendetta  e perseguire la via del perdono per poter ottenere misericordia da Dio.
   Anche domenica scorsa l’insegnamento di Gesù sulla correzione fraterna partiva dal presupposto che Dio non vuole che nessuno si perda, quindi anche i discepoli devono avere la stessa attenzione correggendo il fratello che sbaglia e usando misericordia verso di lui. Il brano di oggi si apre con la richiesta di un approfondimento del tema da parte della comunità, come al solito con una domanda messa in bocca a Pietro: “Se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. La domanda dimostra che due cose erano state ben comprese: che bisogna perdonare e che bisogna perdonarsi, cioè che se bisogna perdonare chi ci arreca offese, chiunque esso sia, ancor più bisogna perdonare il “fratello”, colui che ci vive accanto e fa parte della nostra stessa comunità. Quante volte ?
   I rabbini del tempo insegnavano l’opportunità di perdonare fino a tre volte… Pietro va oltre portando il numero delle volte a sette (espressione nel linguaggio biblico di pienezza)…  Gesù, giocando a sua volta con i numeri, come è tipico della cultura ebraica, rispondendo “7x10x7” esprime la sua convinzione che il massimo della perfezione è perdonare sempre. Perché? Non si tratta qui solo di una perla di saggezza o di una via per ottenere la pace nel cuore, né di un consiglio o una buona raccomandazione, ma di una profonda professione di fede: perché Dio perdona sempre, perché Dio perdona l’impossibile, perché Dio da sempre l’opportunità di ricominciare. E se Dio agisce così con noi, altrettanto noi dobbiamo fare con i suoi figli, i nostri fratelli.
   Già al capitolo sesto al termine del Padre nostro a commento della richiesta “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” Gesù diceva “Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”. Questo “perdonare per essere perdonati” non va certamente letto come l’invito a fare ogni sforzo possibile, altrimenti c’è il rischio di essere esclusi dalla misericordia di Dio, anzi siamo chiamati a prendere coscienza che Dio vive di “misericordia preventiva”, ancor prima che noi possiamo offenderlo o commettere degli errori Egli già ci accompagna con la sua misericordia e noi non solo dovremmo essergli grati ma dovremmo imparare a vivere da “misericordiati misericordiosi” (come ci veniva proposto nel cammino ecclesiale diocesano): “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36).
   Perché bisogna perdonare? Quante volte? A che condizioni? Gesù non vuole semplicemente rispondere a queste domande, ma vuole portarci oltre, ad essere persone che mettono la misericordia e il perdono al primo posto, che vivono la beatitudine dell’essere misericordiosi, che non stanno lì a contare le volte o a dettare le condizioni, ma che sono consapevoli che c’è un solo modo per evitare fratture insanabili: avere misericordia per gli altri come Dio è misericordioso con ciascuno di noi. 
   Laddove non fosse abbastanza evidente l’insegnamento di Gesù espresso attraverso il ricorso alla simbologia delle cifre, ecco la bellissima parabola del re misericordioso e il servo spietato. Anche qui i numeri parlerebbero da soli: un amministratore era debitore verso il suo re di diecimila talenti. Un talento corrispondeva a circa 36 kg d’oro e a 6000 denari. La paga di un salariato era di un denaro al giorno. Quindi a questo amministratore per rifondere il debito sarebbero occorse 60 milioni di giornate lavorative, pari a 164.000 anni di lavoro, davvero una cosa inimmaginabile. Eppure il re davanti alle suppliche del suo amministratore ne ebbe compassione e gli condonò quel  debito immenso e inestinguibile. Ma ecco che quest’uomo, incontrando un suo subalterno che gli doveva appena cento denari, un debito estinguibile con poco più di tre mesi di lavoro, non prova nessuna pietà e lo fa gettare in prigione. Più che logica la conclusione del re appena venuto a conoscenza del comportamento del suo amministratore: “ma non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno come io ho avuto pietà di te?”, e lo consegnò agli aguzzini. Conclude Gesù: il Padre celeste farà così con voi se non perdonerete di cuore al vostro fratello.
   Credo che l’unico commento possibile sia quello di rivedere subito tanti nostri comportamenti e la presunzione di essere in diritto di negare all’altro il perdono. L’aver insistito per secoli nella predicazione nel presentare Dio come il giudice impassibile e giusto perché alla fine premia i buoni e punisce i cattivi ci ha allontanati dalla buona notizia offerta da Gesù: è vero che alla fine il bene trionferà sul male, come in tanti brani delle Sacre Scritture ci viene annunciato con un linguaggio di genere apocalittico, ma questo avverrà perché la misericordia di Dio sarà sempre più grande di tutto il male commesso dagli uomini. Annunciare il trionfo del bene separandolo dal trionfo della misericordia genera quelle distorsioni della fede che chiamiamo fondamentalismo, fanatismo, giustizialismo… distorsioni che affiorano ancora oggi nel cristianesimo come in tante altre religioni.
   Occorre allora che ciascuno di noi, in quanto credente, si riscopra umilmente debitore nei confronti di Dio, da Lui condonato gratuitamente e per questo spogliato di ogni forma di arroganza e di ogni pretesa di rivalsa nei confronti degli altri. Sarebbe bello che sulle porte delle nostre chiese comparisse la scritta: casa della misericordia. Si entra portando ciascuno il peso delle proprie colpe, la delusione per i propri fallimenti, le lacerazioni dovute al male ricevuto… se ne esce rigenerati dalla misericordia di Dio e dei fratelli, persone nuove con il “cuore sempre più grande di ogni offesa”.
   Buona domenica, fra’ Mario.

  

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