Carissimi fratelli e sorelle,
continuiamo in questa trentatreesima domenica del tempo ordinario la lettura del capitolo 25 di Matteo con la lettura di un’altra parabola molto conosciuta, quella dei talenti.
Come abbiamo già visto domenica scorsa riflettendo la parabola delle dieci ragazze che partecipano al corteo nuziale, le comunità cristiane nel momento in cui il Vangelo viene redatto stanno vivendo un momento particolare: esse sono in attesa del ritorno glorioso del Signore in mezzo a loro, che però tarda a venire. Così in quella parabola si dice che lo “sposo tardava”, in quella di oggi dei talenti che il padrone ritornò “dopo molto tempo”, e nella descrizione del giudizio finale non c’è accenno al tempo in cui esso avverrà: “quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria”, ma trattandosi appunto del giudizio definitivo questa venuta va di per sé collocata non da un momento all’altro ma in quello conclusivo della storia. Torna allora la domanda: come comportarsi nel frattempo, pur tenendo lo sguardo puntato sulla realtà di un compimento finale sia della propria vita che della storia?
La risposta non è così scontata né risolutiva, tanto è vero che ci viene indicata attraverso parabole, attraverso elementi allusivi e a volte anche paradossali, offerti forse per provocare più un atteggiamento di apertura e di prontezza verso i vari scenari che possono aprirsi, piuttosto che rinchiudersi nella presunzione di avere l’unica risposta valida e non negoziabile. Quando tornerà il Signore e cosa avverrà al suo ritorno? Questa domanda che fa da sfondo ai due testi del Vangelo e della seconda lettura di oggi e che manifesta la speranza di chi aveva vissuto con Gesù di vedere al più presto realizzata la sua promessa di un prossimo ritorno e con esso della trasformazione definitiva del mondo, oggi non desta più lo stesso interesse non solo all’interno di un mondo secolarizzato in cui la fede “non fa più parte dei presupposti del vivere comune” (papa Francesco), ma probabilmente all’interno dello stesso mondo credente, così spesso incapace di una vita all’altezza delle grandi cose attese, ma sempre rimandate, se non addirittura ostacolate.
Eppure, proprio in questo tempo in cui certezze e determinazione ad impegnarsi per qualcosa che vada oltre la dimensione dell’appagamento immediato si liquefanno, è più che mai necessario rimettere a fuoco desideri profondi e necessità reali, definire in base ad essi gli obiettivi da raggiungere, e costruire su di essi le motivazioni che indirizzano il proprio cammino quotidiano, in cui si intrecciano entusiasmo e fatica, impegno e disillusione, realizzazioni e fallimenti. La parabola di oggi può essere di grande aiuto in un percorso del genere a condizione che non vi si approcci con una mentalità moralistica (Dio ti chiederà conto di quello che fai), o persino giustizialista (Dio te la farà pagare per tutti i tuoi sbagli), o con quell’atteggiamento religioso disincarnato per cui tutto è rimandato ad un’altra vita dopo questa. Abitiamo nella storia di tutti i giorni nella consapevolezza, per coloro che ne cercano il senso, che questa non è la ragione ultima della nostra esistenza: come vivere il presente, ciò che è già e fa presto a diventare ciò che è stato, in connessione con il nostro futuro prossimo e remoto, che ancora non è e che spesso arriva molto più tardi di quanto speriamo?
Il Regno di Dio, con i suoi obiettivi e gli stili di vita da assumere, questa realtà, questo sogno, questo principio dinamico che già fermenta l’oggi, ma il cui compimento è sempre oltre il prossimo futuro, Gesù lo paragona ancora ad un ricco signore che partì per un viaggio che sarebbe durato “molto tempo” e che lasciò tutto il suo patrimonio in mano a tre suoi amministratori, a ciascuno secondo la propria capacità. Due di questi contagiati dalla fiducia e la generosità con cui il padrone li aveva coinvolti nel progetto, con spirito di iniziativa raddoppiarono il capitale, meritando la lode del signore al suo ritorno. Il terzo riconsegnando il capitale così come lo aveva ricevuto, senza aver tentato nulla per paura e per pigrizia, venne cacciato via. A chi di questi vale la pena di somigliare?
La comunità nella quale il Vangelo di Matteo ha preso forma scritta non ha avuto dubbi nell’avere in avversione il comportamento dell’ultimo amministratore, probabilmente con l’affievolirsi della speranza di un ritorno immediato del Signore, in alcuni dei suoi membri era prevalso un atteggiamento di pigrizia e di disimpegno, paragonabile ad un vero e proprio fallimento e meritevole dell’espulsione dalla comunità. Allo stesso modo le nostre comunità sono chiamate a verificarsi sull’intensità della propria passione e del proprio impegno, consapevoli che si finisce per perdere del tutto quello che non si è capaci di far crescere (a chi non ha verrà tolto anche quello che ha).
Come sempre una parabola offre non soltanto una sua “morale”, ma apre diverse piste di riflessione attraverso l’analisi dei molteplici particolari. Vorrei soffermarmi un attimo sull’immagine del ricco signore che si assenta per molto tempo… Nella parabola essa indica la distanza di tempo (pensata come breve dalle prime comunità) tra la morte/risurrezione e il ritorno glorioso del Signore… Ai nostri giorni essa può stare ad indicare un po’ tutta la storia, vista come lo spazio in cui gli uomini sono chiamati ad amministrare con frutto il patrimonio che il Signore ha messo nelle loro mani, la sua assenza prolungata è infatti un invito esplicito ad agire in suo nome, quindi con responsabilità, e con la stessa creatività e passione. Questa assenza però nel nostro tempo sta generando l’attitudine a vivere come se lui non ci fosse o come se si possa tranquillamente fare a meno di lui… Come possono i credenti affrontare questa nuova sfida e testimoniare che la fiducia nel Signore è molto più costruttiva del lasciarsi guidare solo da emozioni e opinioni?
Anche l’immagine dei talenti merita un ulteriore approfondimento: essi non rappresentano, infatti, le qualità della persona, che essa deve sforzarsi di far fruttificare per avere una ricompensa, ma le risorse immense che Dio mette a disposizione di ciascuno… anche un solo talento era una moneta che la maggior parte degli uomini al tempo di Gesù non potevano permettersi di possedere, corrispondeva alla paga di seimila giornate lavorative, ossia di circa venti anni, una vita… l’uomo che credeva di non avere abbastanza forze per farlo fruttare ha buttato via la sua vita, vittima delle sue frustrazioni (pianto e stridore di denti). Sarebbe bastata la gratitudine, lasciarsi guidare dal criterio offerto da Gesù agli apostoli per poter affrontare la loro missione: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). E’ solo la gratitudine che permette di valorizzare le risorse per il bene di tutti, senza cedere alla tentazione di appropriarsene. In ogni epoca, in ogni vita, in ogni cultura Dio ha seminato risorse immense… quali sono quelle del nostro tempo che non dobbiamo assolutamente sciupare?
Vorrei concludere questa riflessione, fratelli e sorelle, applicando la parabola a questo tempo particolare di attesa e di rimandi che stiamo vivendo a causa della pandemia. Per la salvaguardia della salute di tutti siamo costretti a fare a meno di tante cose, non si può uscire di casa, non ci si può incontrare, abbracciare… a molti sta mancando persino l’opportunità di lavorare e di assicurarsi il necessario… in ambito ecclesiale ci sono addirittura persone che sono in ansia perché non sanno quando potranno celebrare il battesimo, la cresima o la prima comunione… ma quando a certe impostazioni o certi appuntamenti, la cui scadenza è dovuta più all’abitudinarietà che alle convinzioni, non è possibile dare continuità… quali sono le risorse alternative che stanno sostenendo non tanto l’attesa del ritorno alla normalità, ma la speranza di un passaggio a nuove mentalità e nuovi stili di vita?
Buona settimana a tutti, fra’ Mario.
Risorse da non sciupare
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