Carissimi fratelli e sorelle,
penso che mai come quest’anno tutti sentiamo il bisogno di regalarci parole di Natale non banali e convenzionali, ma che avvicinino i nostri cuori, che illuminino le nostre incertezze, che confortino le nostre sofferenze, che aprano spiragli di gioia in mezzo a tanta tristezza.
Per questo, oltre ad attingere alla sorgente inesauribile dei nostri sentimenti più profondi, anche oggi ci mettiamo in ascolto del Vangelo, dei racconti del Natale, di pagine e parole a noi care alle quali chiediamo ancora una volta di indicarci percorsi illuminati e sostenibili nel mezzo delle crescenti difficoltà che questa pandemia ci sta creando, di fronte alle quali non riusciamo nemmeno a immaginare quanto e come saremo cambiati quando ne usciremo.
E’ sempre stato molto emozionante ascoltare nel cuore della notte di Natale le campane suonare a festa per far arrivare a tutti le parole proclamate all’interno delle chiese: “Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”. Quest’anno senza quello scampanio la notte di Natale è un po’ più vuota, e proprio questo silenzio, segnale evidente dell’emergenza in corso, richiama ciascuno di noi a riflettere più attentamente sul senso che diamo a questo annuncio. Salvezza, oggi come oggi, vuol dire semplicemente trovare vaccini e terapie efficaci contro un virus devastante ed essere guidati da un governo capace di trovare le misure adeguate per superare questo momento di crisi, o anche acquisire una mentalità e uno stile di vita che ci rendano pienamente umani, cioè non soltanto ben informati e competenti, ma anche capaci di dare sempre il primo posto all’amore?
Possiamo chiederci in questa notte di Natale: che cosa di Gesù ha talmente colpito gli Apostoli da portarli a riconoscerlo e ad annunciarlo come il salvatore loro e di tutti? Che cosa ha particolarmente colpito Luca di quanto annunciato dagli apostoli e di quanto vissuto dalle prime comunità che lo spinto a scrivere un racconto degli avvenimenti successi, e ad elaborare una riflessione teologica su di essi di cui i racconti del concepimento, della nascita e dell’infanzia di Gesù ne costituiscono un primo tratto essenziale?
Senz’altro il rovesciamento di certe logiche “mondane”. Proprio mentre Ottaviano si attribuisce i titoli di “Augusto”, cioè grande e venerabile, e di “Divino”, signore delle terre e dei popoli conquistati che stabilisce di censire, Dio entra nella storia con la massima umiltà e semplicità, nelle fattezze di un bambino adagiato in una mangiatoia e rivela la sua identità solo a persone di nessuna rilevanza sociale, quali erano considerati i pastori a quel tempo nel mondo ebraico. Egli la pensa al rovescio dei potenti e dei superbi e condivide le necessità degli umili e degli affamati… allo stesso modo la prima comunità cristiana, liberata dall’ambizione e dalla supponenza, vive la fraternità e la comunione dei beni, con umiltà e semplicità, permettendo a ciascuno di venire finalmente corrisposto nei propri bisogni e di vivere nella gioia.
Questo modo di essere di Dio, più volte prospettato dai profeti, rivelato e incarnato da Gesù, assimilato dai suoi discepoli è ciò che chiamiamo “salvezza”: l’inizio di un’umanità nuova, che vive in quella pace che Dio dona a tutti gli uomini che Egli ama. Quell’amore vissuto da Gesù fino al dono totale di sé, unica cosa che ci ha chiesto di vivere esattamente come Lui, splende già nel volto di quel bambino nella mangiatoia, la cui immagine veneriamo in questa notte nei nostri presepi, davanti ai quali molte volte sostiamo più con l’atteggiamento di chi di fronte alla complessità della realtà cerca una fuga rasserenante nel mondo delle favole che non per attingere a questa sorgente zampillante nuove energie per vivere da autentici figli di Dio, nella fraternità e nel sostegno reciproco.
Il giorno di Natale, ci viene proposta un’altra pagina di Vangelo, un po’ più complessa del poetico racconto di Luca, i primi diciotto versetti di Giovanni, il cosiddetto prologo in cui egli espone le line portanti della sua teologia: Gesù ci viene presentato come Verbo di Dio, che comunica vita, grazia e verità, vera luce che illumina ogni uomo… lo si può rifiutare (come hanno fatto i capi ebrei crocifiggendolo) o lo si può accogliere e divenire così figli di Dio (quindi si nasce amati da Dio, ma si diventa suoi figli per fede) che hanno in se la sua stessa vita, ossia il suo modo di amare. “Il Verbo si fece carne (il termine carne nella Bibbia descrive l’uomo nella sua debolezza e precarietà, esattamente come il bambino nella mangiatoia) e venne a piantare la sua tenda (come fatto da Dio durante l’esodo dall’Egitto) in noi”; e si è fatto “carne da mangiare”, ascolteremo al capitolo sesto, ossia vita donata da accogliere e assimilare: “ chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha in se la vita dell’Eterno… dimora in me e io in lui… vivrà per me” (Gv 6,54-57).
Quando ci auguriamo Buon Natale allora, fratelli e sorelle, ci auguriamo di essere più pieni di Dio, di diventare sempre più pieni di Lui e del suo amore, di trasformarci noi in quella capanna di Betlemme da cui si irradia amore e pace verso ogni persona. Le preoccupazioni, le povertà, le sofferenze, i lutti che questa pandemia sta generando verranno sconfitti certo da comportamenti accorti e da cure efficaci, ma sarà davvero poco se non ne usciremo pienamente umani, cioè da persone che sanno amare come Dio ha amato noi.
Buon Natale a tutti, fra’ Mario.