Carissimi fratelli e sorelle,
mercoledì abbiamo iniziato il cammino verso la Pasqua con il rito altamente espressivo dell’imposizione della cenere sul nostro capo.
Mi verrebbe subito da osservare che quest’anno iniziamo i quaranta giorni della quaresima all’interno di una quaresima che a causa della pandemia in corso stiamo vivendo ormai da lungo tempo… giorni di grande sofferenza che ci fanno avvertire come non mai il senso della nostra precarietà, tutta la crudezza di quelle parole pronunciate da Dio all’uomo a seguito del peccato delle origini: polvere tu sei e in polvere ritornerai (Gen 3,19), che accompagnavano fino a qualche anno fa il gesto dell’imposizione della cenere. E come non pensare, mentre il Vangelo del giorno delle ceneri ci ripropone il senso autentico di alcuni dei cosiddetti “pilastri” delle religioni come il digiuno, la preghiera e l’elemosina, a quanti a motivo della malattia non avvertono più i sapori, o a coloro che muoiono in estrema solitudine a cui è possibile stare vicino solo con la preghiera, o a quanti per la perdita del posto di lavoro non resta che elemosinare un qualche aiuto?
In questo contesto, allora, possiamo forse meglio comprendere in che senso la Quaresima è un “momento favorevole” (2Cor 6,2), un tempo cioè in cui più che ripetere le parole e i gesti di sempre sono davvero necessari ancora una volta silenzio e discernimento, per rimettere a fuoco i valori per i quali abbiamo deciso di spendere la nostra vita e tradurli con crescente convinzione e passione in motivazioni per il nostro agire quotidiano, o comunque averli sempre presenti come punti di riferimento che permettono di non venire meno in un tempo di prova.
Se faremo questo in qualche modo stiamo già rispondendo alla domanda che ci poniamo tutti: come ne usciremo da questa prova?
Il brano di Vangelo di Marco che leggiamo in questa prima domenica di quaresima dell’anno ‘b’ ci offre un’”istantanea” (appena una ventina di parole) di come Gesù ha vissuto il tempo della prova prima di iniziare la sua missione.
Rispetto alle versioni di Matteo e di Luca, che con tutta una serie di citazioni bibliche ricordano le prove del popolo ebraico in diversi momenti della sua storia (a cui ci richiamano gli elementi simbolici: il deserto, il tempio, il regno) e con l’artificio letterario di uno spettacolare duello dialettico con il diavolo, le mostrano finalmente superate da Gesù, che può così iniziare ad edificare il nuovo mondo di Dio, il racconto di Marco è molto scarno di particolari e ci spinge a cercare altrove i contenuti della prova, in tanti contrasti dialettici con i farisei, ma soprattutto in quel drammatico momento di preghiera solitaria nel Getsemani in cui chiedeva al Padre: “Allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36).
Da tutti i suoi momenti di prova, all’inizio come alla fine della sua attività evangelizzatrice, Gesù ne esce più motivato e determinato che mai, nella più completa fedeltà a Dio, in una piena libertà da se stesso, pronto per un amore totale.
La prova dunque non è un incidente di percorso, né l’essere tirati dentro a una sorta di battaglia tra spiritelli tentatori e angioletti difensori, ma è un passaggio obbligato della vita di noi credenti come lo è stato per lo stesso Gesù, un’occasione che si ripresenta in tanti momenti dell’esistenza per verificare la propria fedeltà al progetto di Dio, che non può essere mai data per scontata, per crescere nella fiducia in Lui, per lasciare la guida del proprio cammino al suo Spirito, per essere sempre più consapevoli che tutto ciò che ci separa o ci oppone a Lui (il “satanico” per definizione) ci fa correre il rischio della chiusura in noi stessi e di fallire gli obbiettivi più importanti della nostra vita.
Per questo nella preghiera del Padre nostro continuiamo a invocare Dio di “non metterci alla prova” (questo è il senso delle espressioni “non ci indurre in tentazione” come dicevamo prima e “non abbandonarci alla tentazione” come diciamo adesso), non per evitare le nostre responsabilità o vivere tranquillamente una fede che non costa nulla, ma per non venir meno alla nostra fedeltà e non vivere il nostro impegno quotidiano confidando solo sulle nostre idee o sulle nostre forze, ma nella confidenza e nel contatto continuo con Colui che può portarci sempre aldilà dei nostri momenti no.
Il brano di oggi ci offre ancora quelle che vengono riportate come le prime parole pronunciate da Gesù dopo la prova nel deserto: “Il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”. Pur nella precarietà e nella debolezza le persone non sono vittime di forze occulte o chiamate ad affrontare prove sovrumane, ma piuttosto a fare esperienza della vicinanza di Dio, a riporre in Lui la propria fiducia, e determinarsi per un deciso cambio di mentalità e di passo. Al contrario, se il credente si costruisce una religiosità a propria misura, rifugiandosi nella tranquillizzante ripetizione di pratiche scaramantiche per esorcizzare la paura delle proprie debolezze o dei presunti agguati di nemici invisibili, finisce per smarrire l’obiettivo fondamentale della propria vita: l’adesione al Vangelo che trasforma l’esistenza, unica realtà che merita una dedizione totale e una piena fedeltà.
Buona settimana a tutti, fra’ Mario.