
IV DOMENICA DI QUARESIMA
Anno C
LETTURE: Gs 5,91.10-12; Sal 33; 2 Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Gs 5,9-12
Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua.
Dal libro di Giosuè
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 33
Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.
Seconda Lettura 2 Cor 5,17-21
Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
Canto al Vangelo Lc 15,18
Gloria e lode a te, o Cristo!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te.
Gloria e lode a te, o Cristo!
Vangelo Lc 15,1-3.11-32
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Con questa domenica la misericordia di cui si parlava domenica scorsa assume altri aspetti e si fa in qualche modo più personalizzata; entra in gioco il rapporto tra Dio e il peccatore.
L’attenzione viene tutta catturata sicuramente dal testo del Vangelo, così presente nelle celebrazioni, soprattutto penitenziali, e così noto. Ma bisogna tener presente che la liturgia offre tanti altri spunti e sfaccettature di cui bisogna tener conto.
Questa domenica poi viene chiamata domenica “laetare” (rallegrati), per le prime parole dell’antifona di ingresso, ed assume un senso più gioioso.
Cerchiamo i termini che maggiormente insistono sul tema di oggi.
Rallégrati, Gerusalemme,
e voi tutti che l'amate, riunitevi.
Padre buono e grande nel perdono…
«Oggi ho allontanato da voi l'infamia d'Egitto».
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della regione, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
La manna cessò il giorno dopo…
Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.
Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te!
questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.
NELLA PAROLA
LE SORPRESE DI DIO
I motivi per far festa e per la gioia possono essere molteplici e nella Bibbia, infatti, ce ne troviamo tanti. Ciò che sorprende è che al posto della mortificazione e dell’umiliazione per il peccato, troviamo la gioia e la festa.
Questa festa non riguarda soltanto il fatto privato di un peccatore, ma si estende ad una dimensione universale, pubblica. Viene coniugata con la pasqua, come viene messo in risalto dalla prima lettura, di cui la seconda lettura sarà una specie di parafrasi.
Andiamo per ordine.
Il popolo d’Israele finalmente entra nella terra promessa. Cosa succede? Le cose vecchie sono passate: finisce il tempo della manna (il cibo provvisorio: ricordiamoci quanto peso ha nel Nuovo Testamento questo suo aspetto, per cui è soltanto un simbolo anticipatore) e si mangiano i prodotti del paese, ma soprattutto si celebra la pasqua nella nuova terra.
C’è un’espressione di cui bisogna tener conto: Oggi ho allontanato da voi l'infamia d'Egitto.
La peregrinazione nel deserto era legata ancora all’esperienza della schiavitù d’Egitto, e molti israeliti non erano stati circoncisi nel deserto, un’infamia per un popolo libero. Tanto è vero che Giosuè fa circoncidere tutti quelli che devono attraversare il Giordano. Il passaggio del Giordano è come un battesimo, che cancella ogni macchia precedente.
S. Paolo, ugualmente, parla delle cose vecchie che sono passate. Non c’è più la “terra nuova”, ma la “creatura nuova”. Qui si parla di una novità assoluta, non di un semplice rinnovamento. Se le cose vecchie sono passate, bisogna scoprire in che consiste questa novità. Questa si trova nella “riconciliazione con Dio”. Ecco l’accorato appello: lasciatevi riconciliare con Dio.
Questa riconciliazione non è indolore. Paolo usa espressioni molto forti: Dio tratta Gesù da “peccato”, non da peccatore. C’è sempre una distinzione tra peccato e peccatore. Si ripudia e si condanna il peccato non il peccatore. Gesù viene condannato come il peccato. E noi non diventiamo semplicemente “giusti”, ma “giustizia”.
La logica che rende comprensibile l’atteggiamento del padre della parabola, che a noi può apparire così poco autorevole, come un padre un po’ troppo remissivo, più che tenero debole, si trova proprio in questo dono che il Padre celeste fa agli uomini: un figlio condannato per noi. Se accoglie e fa festa per questo figlio disgraziato, non è soltanto perché torna pentito (ricordiamo, però, che tornare nella Bibbia significa anche “tornare in se stessi”, ravvedersi), ma perché può riaverlo: era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. L’accento, allora non viene posto tanto sul pentimento (non se ne può fare a meno, naturalmente, è parte integrante di tutto un processo di riconciliazione, non può esser sottovalutato, come irrilevante), ma sul fatto del ricongiungimento del figlio con il padre.
Ancora una volta viene messa in risalto l’attesa, la pazienza, la longanimità di Dio.
IN NOI STESSI
SEMPRE UN PO’ MESCHINI
La vicenda dei due figli, di tutti e due, si riscontra mirabilmente nella nostra vita. E spesso gli atteggiamenti del maggiore e del minore in noi si alternano o si sommano.
Il figlio minore sceglie bene di rendersi autonomo dal padre, ma poi non se ne prende la responsabilità delle conseguenze e quando si trova nel bisogno approfitta del padre. (Bisogna tener conto della valenza spirituale di tutti questi tratti, che sono allusivi ad una situazione anche interiore; in tutto il testo si può leggere in filigrana cosa capita quando ci allontaniamo dalla fonte della vita).
Il figlio maggiore si appella alla sua fedeltà stantia e senza gioia per recriminare l’atteggiamento del fratello, che probabilmente, in segreto, invidia per la sua libertà.
Il figlio minore scegliendo una libertà fittizia, perde tutto e perde se stesso.
Il ritorno in noi stessi ci fa comprendere e sperimentare questa povertà, la vuotezza delle scelte fatte soltanto per capriccio, per cercare qualcosa di più eccitante.
NEL MONDO
FEDELTA’ E LIBERTA’
E’ un eterno problema, discusso continuamente soprattutto sulle pagine di libri di filosofia. Si veda tutta l’impostazione del discorso in Nietzche: finché esiste Dio non puoi scegliere liberamente, la tua libertà non esiste. Allora bisogna che Dio muoia, perché tu sia veramente libero di scegliere e quindi di essere un uomo.
E’ un pensiero che è penetrato profondamente nella cultura odierna. Quella radicale ne è l’espressione più eclatante; ma non si limita a questa, perché in forme meno teorizzate è diventata mentalità molto comune.
Per noi cristiani che facciamo appello alla fedeltà a Dio, anche contro la nostra libertà, non è facile confrontarsi o trovare motivazioni plausibili razionalmente per questo comportamento.
Soltanto ritornando alla realtà concreta del nostro mondo interiore, della verità dell’uomo nella sua grandezza e nella sua miseria, come diceva Pascal, possiamo trovare il senso della nostra libertà, non scissa dalla fedeltà a Dio.