Anno A
LETTURE: Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1 Ts 5,1-6; Mt 25,14-30
MESSALE
Antifona d'Ingresso Ger 29,11.12.14
Dice il Signore:
«Io ho progetti di pace e non di sventura;
voi mi invocherete e io vi esaudirò,
e vi farò tornare da tutti i luoghi dove vi ho dispersi».
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Pr 31,10-13.19-20.30-31
La donna perfetta lavora volentieri con le sue mani.
Dal libro dei Proverbi
Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 127
Beato chi teme il Signore.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
Seconda Lettura 1 Ts 5,1-6
Non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
Canto al Vangelo Gv 15,4.5
Alleluia, alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,
chi rimane in me porta molto frutto.
Alleluia.
Vangelo Mt 25,14-30 (Forma breve Mt 25,14-15.19-21)
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Dal vangelo secondo Matteo
[ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. ]
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
[ Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. ]
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Dalla vigilanza alla responsabilità.
Domenica scorsa era messo al centro dell’attenzione l’atteggiamento di chi sta aspettando il ritorno del Figlio dell’uomo. Il suo ritardo può rendere sbadati e insipienti, può far diminuire la tensione spirituale e far dimenticare che il tempo presente è sempre denso non soltanto di attesa, ma anche tempo dedito all’acquisizione di quelle disposizioni d’animo necessarie per non farsi sfuggire il momento del ritorno, dell’incontro con lo sposo, per non rischiare di rimanere fuori della sala del banchetto quando verrà chiusa. Il rischio è quello di sentirsi dire da dentro: “Non vi conosco”.
In questa domenica si sottolinea un altro aspetto: la necessaria capacità di utilizzare i talenti che ci vengono consegnati per farli fruttificare.
La parabola si presta a tante interpretazioni anche allegoriche, che non stonano, ma forse non colgono il nucleo del messaggio. Inoltre la liturgia inserisce il brano in un contesto, sia letterario, sia eucologico, che dà necessariamente una connotazione particolare.
La donna perfetta.
La prima lettura esalta l’operosità, che viene impersonata nella donna ideale, delineata dai libri sapienziali.
Innanzitutto è l’orgoglio e la sicurezza del marito. Questi può confidare ciecamente in lei, perché non verrà deluso.
Poi è una donna instancabile: si dedica soprattutto a preparare i vestiari necessari per la casa, lavorando alla loro tessitura.
E’ poi generosa: non si scorda di dare una mano al misero, a chi ha più bisogno.
Infine non è una vanitosa, che si accontenta di apparire leggiadra, affascinante, sapendo che la bellezza non è tutto; ciò che conta è il timore di Dio, che rimane per sempre. E’ antagonista delle star di oggi, del circolo mediatico che le avvolge e le culla. Diventano personaggi; chi non le eguaglia non conta nulla.
Forse oggi questa presentazione susciterebbe tante polemiche e contestazioni, soprattutto presso le femministe. E’ una figura del passato? O forse è il modello più vero di una donna saggia?
Questa lettura in relazione al vangelo mette in risalto l’operosità, condanna la pigrizia e l’indolenza di chi non si industria per far funzionare bene la sua vita e quella degli altri. La figura dell’uomo infingardo ci sforma di fronte ad una donna così saggia. La figura dell’uomo non può essere da meno.
Servo buono e fedele… Servo malvagio e pigro.
Con questa qualificazione il padrone bolla l’esito dell’uso fatto dei beni che ha consegnato ai suoi servi.
L’ambiente nel quale si dispiega il racconto non era ipotetico o fuori della realtà concreta. Infatti i padroni, i sovrani dell’epoca facevano ciò che è descritto nella parabola.
La prima osservazione che va fatta è che il padrone parte per un viaggio. Questo suppone che egli prima o poi ritornerà. L’allusione al fatto che Gesù è tornato al Padre non sfugge, ma anche che egli ritornerà.
Egli consegna i suoi beni ai servi, secondo la loro capacità. Non c’è un livellamento; gli uomini non sono tutti sullo stesso piano.
A questo punto si apre l’orizzonte sul tempo dell’attesa, il tempo dell’impegno, delle decisioni da prendere. Questo è lungo, come dice poi il testo: “dopo molto tempo il padrone ritorna“.
Come verrà utilizzato questo tempo? Sarà un tempo vuoto, del disimpegno, della dimenticanza dei propri compiti, o sarà il tempo di produrre, di inventare, di non stare con le mani in mano?
Il padrone al suo ritorno vuole fare i conti.
I primi due, pur avendo ricevuto una somma diversa, si sono impegnati ambedue a far fruttare il danaro ricevuto: ne hanno guadagnato il doppio. Questo merita l’apprezzamento del padrone ed anche la ricompensa.
Il terzo è un caso che noi diremmo anomalo. Infatti il ragionamento del servo non è errato: ha un solo talento e, se lo espone al rischio, può perderlo, meritando così un castigo. E’ meglio conservarlo e restituirlo al padrone. E’ una logica economica non del tutto riprovevole.
Ma il padrone lo condanna severamente: servo malvagio e pigro.
Il testo gioca sulle parole della sua giustificazione: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone giudica giuste le sue considerazioni - sa che il padrone ha il potere di raccogliere dal nulla - ma non il suo comportamento. Perciò a lui non interessa la quantità, la ragione commerciale o economica, ma gli interessa l’iniziativa dei servi, il loro impegno, la bellezza di sentirsi utili, di non abbandonarsi all’indolenza. I risultati possono anche essere deludenti, ma almeno, come diciamo, ci ha provato. Ciò che condanna il padrone è l’abbandono alla sfiducia e un ragionamento servilistico. In fondo così non fa altro che identificare il padrone con un avaro, uno strozzino, che ha bisogno di guadagnare sempre di più, pur avendo tutto.
Ora cerchiamo di collocare la parabola nella nostra realtà concreta, nel tempo che siamo chiamati a vivere.
Un commentatore biblico ci illumina: “Il servo pigro ha rifiutato di redimere il tempo (Ef 5, 16), di dare un senso a questo mondo e alla sua propria esistenza nel mondo. Ha lasciato in riposo la creazione, ha rinunciato alla sua responsabilità creatrice; ha coltivato una religione sterile a fianco dell’esistenza umana, a fianco del lavoro mediante il quale l’uomo conquista la vita. Pertanto egli è in regola; la sua religione è pura e intatta; essa non ha mai servito, egli non manca di niente, nessuna struttura vien meno. La disgrazia è che essa è senz’anima, una religione morta.
E ancora: “Il servo malvagio dice “il tuo talento”, il “tuo bene”; egli non crede al dono….Egli ha finito o cominciato per farsi un’immagine di Dio mostruosa, deformata: un ‘padrone duro’, cioè, come dichiarano i nostri atei di oggi, un padrone geloso e aggressore della libertà, che non tollera a sua fianco altri esseri responsabili, ma che non vuole che degli esecutori schiavi (P. Ganne).”
Nella seconda lettura S. Paolo continua sul discorso del ritorno del Signore, richiamando l’attenzione sull’impossibilità di sapere il giorno e l’ora. Ma noi non viviamo nell’angoscia, nell’ansia, perché quel giorno non ci sorprenderà, perché noi viviamo nella luce, non nelle tenebre. Soltanto chi vive nelle tenebre può temere, non accorgendosi di ciò che accade intorno.